mercoledì 25 febbraio 2015

PUNTEGGIATURA.....errori da evitare

Per non sbagliare con la puntaggiatura , questo link ci aiuta ad evitare errori spiacevoli
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sabato 21 febbraio 2015

"Il grande Gatsby" di F.S. Fitzgerald



Fitzgerald, Francis Scott




Francis Scott Key Fitzgerald nasce il 24 settembre 1896 a Saint Paul (Minnesota, USA). La sua infanzia è dominata dai principi e dagli ideali dell'aristocrazia del sud cattolica e conservatrice. Purtroppo il padre Edward non è molto abile nella gestione della famiglia e spesso non riesce a far fronte alle richieste economiche quotidiane, viene licenziato dalla società per la quale fa il rappresentante, e così provvede al loro mantenimento la nonna materna. Proprio grazie al ramo materno della famiglia, riesce a completare i suoi studi e a dare prova del suo precoce talento per la scrittura.
Nel 1909 pubblica il suo primo racconto: "Il mistero di Raymond Marge".
Nel 1913 arriva a Princeton, tappa fondamentale per la sua formazione come scrittore. E' qui, infatti, che si immerge nella lettura dei classici e intrattiene rapporti di conoscenza e amicizia con numerosi intellettuali. Questo però è anche il periodo della sua definitiva affermazione come dandy e appassionato frequentatore di feste e intrattenimenti teatrali.
Allo scoppio della Prima guerra mondiale, fa domanda di arruolamento e parte nell'ottobre del 1917 senza aver conseguito la laurea. Il suo desiderio è quello di combattere in Europa in nome degli ideali di giustizia e libertà, ma viene inviato in Kansas, dove trascorre lunghi mesi inattivi e frustranti.
In questo periodo, apparentemente piatto e insoddisfacente, avviene l'incontro destinato a cambiare la sua vita. Dopo il trasferimento del suo campo militare in Alabama, conosce ad un ballo la figlia, Zelda Sayre, di un noto giudice locale. I due si sposeranno nel 1920.
Dopo il rifiuto dell'editore Scribner a pubblicare il suo primo romanzo, "Di qua dal paradiso",  il romanzo subisce  una lunga revisione e viene pubblicato nel 1920, diventando in poco tempo un vero e proprio best-seller. Inizia così un periodo di spensieratezza che lo consacra come rappresentante della generazione perduta dei ruggenti Anni Venti. La casa newyorkese della coppia diventa, infatti, il centro di feste e riunioni di amici e, quasi, una sorta di simbolo di uno stile di vita disimpegnato e spregiudicato.
Iniziano anche i viaggi in giro per il mondo: la coppia sarà prima a Londra e poi a Parigi.
Nel 1921, a Saint Paul, nasce la figlia Frances soprannominata Scottie. La permanenza a Saint Paul, però, dura poco: Zelda non si trova bene nell'ambiente troppo tradizionalista della cittadina e i due tornano a New York. E' proprio questo il periodo che diventa assoluto protagonista del suo romanzo più noto: "Il grande Gatsby".
Intanto, la sua attività di scrittore si fa molto intensa: pubblica nel 1922 "Belli e Dannati" e, sempre nello stesso anno, la raccolta "Racconti dell'età del jazz".
Nel 1924, i due tornano in Francia nel tentativo di diminuire le spese familiari. In Costa Azzura, Zelda finisce per invaghirsi di un aviatore e cominciano i primi problemi di coppia. Per evitare la rottura, si recano in Italia, ma Scott che ha cominciato a bere finisce coinvolto in una lite con un tassista. La rottura è ormai prossima, favorita anche dalla schizofrenia di Zelda, diagnosticata nel 1930. I medici le prescrivono un periodo di ricovero in una clinica specializzata in Svizzera. Dopo la dimissione della donna, i due tornano insieme negli Stati Uniti e nel 1934 lo scrittore pubblica il suo quarto romanzo "Tenera è la notte". La sua situazione personale però precipita: il romanzo non ottiene il successo sperato e si ammala prima di tubercolosi e poi di depressione a causa delle tante difficoltà economiche e familiari.
La ripresa inizia nel 1937, quando accetta un contratto di 18 mesi come sceneggiatore a Hollywood.  Nel novembre del 1940, mentre è alle prese con la stesura del romanzo "Gli ultimi fuochi" viene colto da un attacco di cuore. Francis Scott Fitzgerald muore il 21 dicembre 1940 all'età di soli 45 anni









Il grande Gatsby

La trama

James Gatz è figlio di poveri contadini del North Dakota. Fugge di casa per cercare di cambiare se stesso, e riesce a conquistare la simpatia del ricco Mr Dan Cody, facendosi assumere a bordo del suo yacht. James adotta lo pseudonimo di Jay Gatsby quando viene inviato a Louisville per un addestramento militare. Qui conosce e si innamora di Daisy Fay, una ricca diciottenne, con la quale intreccia una storia d’amore. Gatsby parte per la guerra, ma prima i due amanti si giurano eterna fedeltà.
Mentre è in Europa a combattere, Gatsby viene a sapere che Daisy ha sposato Tom Buchanan, un famoso giocatore di football americano di Chicago. Da questo momento, lo scopo della vita di Gatsby è quello di riconquistare la donna che ama, ad ogni costo.
Dopo aver vissuto ad Oxford, in Inghilterra, per qualche tempo, ritorna in America e diventa ricco dedicandosi al contrabbando e a traffici illeciti. Infine acquista una villa nel lussuoso villaggio di West Egg, sulla sponda opposta al villaggio di East Egg, in cui hanno la residenza estiva Daisy e Tom.
Nick Carraway, il suo vicino di casa, assiste alla vita sfarzosa di Gatsby, alle feste che si tengono ogni sera, le più eleganti e affollate, a cui il padrone di casa non partecipa quasi mai, e che spesso gli invitati neanche conoscono. Gatsby infatti insegue il suo sogno, “la luce verde”, quella che riflette le luci dell’altra sponda. Durante una di queste feste, Nick osserva Gatsby tendere le braccia verso quella luce.
Pur essendo un conformista ed un puritano, l’esatto opposto di Gatsby, Nick riconosce che egli è in qualche modo speciale. Nick è anche un parente di Daisy, e scopre che, dietro l’apparenza di un matrimonio tranquillo, in realtà ci sono dei problemi. Tom ha infatti un’amante, Myrtle, la moglie di George Wilson, un meccanico che ha un’officina in una zona squallida, lungo la strada che da Long Island porta a New York.
Una sera anche Nick riceve l’invito alla villa di Gatsby e lì, grazie alla conoscenza (a seguito di una breve relazione) con l’amica di Daisy, Jordan Baker, conoscerà Gatsby personalmente.
Dopo qualche giorno Nick riceve la visita del vicino, che gli racconta la sua vita ed il suo passato. Gatsby dichiara di provenire da una famiglia ricca, ma di essere rimasto solo, perché i parenti erano tutti morti. Aggiunge poi di essersi trasferito in Inghilterra, e per convincere Nick, gli mostra una sua foto di quel periodo. Poi narra dell’esperienza in guerra, quando era diventato maggiore, conquistando anche una medaglia. Alla fine, Gatsby chiede a Nick un favore: quello di realizzare il suo desiderio ed aiutarlo ad incontrare di nuovo Daisy.
Jordan rivela a Nick la storia che c’era stata tra Gatsby e Daisy. Jordan e Nick riescono a farli incontrare per un tè. Daisy e Tom vengono invitati alla festa successiva di Gatsby, ed egli è ormai sicuro di avere riconquistato la donna che ama.
Ogni pomeriggio Daisy si reca alla villa di Gatsby, ed egli aspetta solo il momento adatto in cui lei dichiarerà pubblicamente di aver amato solo lui e di non aver mai amato Tom, annullando in un istante cinque anni di matrimonio. Nick tenta di far ragionare Gatsby, cercando di convincerlo che non si può ripetere il passato. Ma Gatsby è sicuro del fatto suo. Finché un giorno, mentre si trovano tutti in un albergo di New York, Tom inizia a provocare Gatsby, e la discussione arriva inevitabilmente a Daisy. Ma quando Gatsby le chiede di dichiarare davanti a tutti di amarlo, lei risponde “Pretendi troppo”.

Finale

Mentre ritornano a casa, Daisy, che guida la macchina di Gatsby, investe Myrtle, scappata di casa,dopo che il marito l’aveva rinchiusa sospettando il tradimento. Myrtle muore, Daisy torna da Tom, senza raccontargli l’accaduto.
Wilson, sconvolto, prende la pistola e va da Tom per vendicarsi. Tom invece rivela quello che lui crede, cioè che l’auto che ha investito Myrtle era guidata da Gatsby. Wilson allora si reca alla villa, dove Gatsby sta facendo un bagno in piscina, convinto che Daisy arriverà da un momento all’altro. Wilson lo uccide e poi si spara a sua volta.
Nick e gli inservienti accorrono, ma non c’è più nulla da fare. Nick prova a chiamare Daisy, ma lei e Tom sono partiti senza comunicare la loro destinazione.
Due giorni dopo arriva un telegramma dal Minnesota, da parte di un tale Henry C. Gatz, il padre di Gatsby, che chiede di aspettare il suo arrivo per le esequie. Il giorno del funerale, Nick prega il ministro luterano di attendere perché qualcuno arrivi, ma non si presenta nessuno, tranne un ubriacone, che si stupisce di come tutti venivano alle sue feste, quando Gatsby era in vita, ma adesso, da morto, lo lasciano solo. Nick crede che, insieme a Gatsby, ogni sogno sia morto, e decide di trasferirsi lontano da lì, alla disperata ricerca di un qualcosa che dia senso all’esistenza.



Il grande Gatsby fornisce un ritratto vivido dei ruggenti anni venti, mettendone in luce le più drammatiche contraddizioni: l'istanza di trasgressione,  la sfrenata  voglia  di divertimento non ne sono che l'aspetto più  esteriore. In realtà,  la nascente società dei consumi sta già   erodendo le certezze e i valori del passato, lasciando negli individui un vuoto profondo, un'intima solitudine e un bisogno disperato di cominicazione che non trova sbocchi, mentre è  ancora fresco il ricordo di un passato di miseria e di guerra.

Il brano   che segue è  tratto dalle ultime pagine del romanzo. Gatsby è morto, e Nick Carraway riflette con sgomento sull'irrealizzabile progetto che il suo amico aveva coltivato per anni.

Quando partii, la casa di Gatsby era ancora vuota:  l’erba del suo prato ormai era alta quanto la mia. Uno dei tassisti del villaggio non passava mai davanti al cancello senza fermarsi per un istante e puntare il dito all’interno; forse era stato lui a portare Daisy e Gatsby a Est Egg la notte dell’incidente e forse s’era inventato una storia tutta sua. Non volevo sentirla e l’evitavo quando scendevo dal treno. Trascorrevo i miei sabato sera a New York poiché quelle sue feste scintillanti, abbaglianti, erano in me così vivide che ancora potevo sentire la musica e le risa tenui e incessanti provenire dal giardino, le macchine andare su e giù per il suo viale. Una notte vi sentii realmente una vettura e ne vidi i fari fermi di fronte alla scala d’ingresso. Non investigai. Probabilmente si sarà trattato di qualche ospite che arrivava dall'altra estremità  della terra e non sapeva che le festa era finita.
L’ultima notte, col baule carico e la macchina venduta al droghiere, andai lì e guardai ancora una volta quell’enorme e incoerente disastro di casa. Sugli scalini bianchi una parola oscena, scritta da qualche ragazzino col frammento di un mattone, risaltava al chiaro di luna; la cancellai raschiando con la mia scarpa sulla pietra. Poi vagai verso la spiaggia e crollai sulla sabbia. La maggior parte dei locali più grandi lungo la costa erano ormai chiusi ed era difficile scorgere una luce ad eccezione del luccichio nella penombra di un ferryboat che attraversava lo stretto. E mentre la luna saliva sempre più alta nel cielo, cominciarono a dissolversi le case superflue finché, a poco a poco, m’apparve la vecchia isola che fiorì un tempo agli occhi dei marinai olandesi – un fresco, verdeggiante seno del nuovo mondo. Gli alberi svaniti, quelli che avevano lasciato il posto alla casa di Gatsby, avevano un tempo assecondato tra i sussurri l’ultimo ed il più grande dei sogni dell’uomo; per un istante ineffabile e incantato l’uomo deve aver trattenuto il fiato al cospetto di questo continente, costretto ad una contemplazione estetica mai compresa o desiderata, faccia a faccia, per l’ultima volta nella storia, con qualcosa di commensurato alla sua capacità di immaginazione. E mentre ero seduto là a meditare sul vecchio, sconosciuto mondo, pensai alla meraviglia di Gatsby quando per la prima volta aveva scorto la luce verde all’estremità del pontile di Daisy. Aveva percorso una lunga strada fino a quel prato blu e il suo sogno gli doveva essere sembrato così vicino che difficilmente avrebbe potuto fallire nell’afferrarlo. Non sapeva che era già alle sue spalle, da qualche parte nelle immense tenebre oltre la città, dove i campi oscuri della repubblica si estendono nella notte. Gatsby credeva nella luce verde, il futuro orgastico che anno dopo anno si ritira davanti a noi. Ci elude poi, ma non importa – domani correremo più veloci, stenderemo le braccia ancora di più… E un bel mattino… 

Così continuiamo a remare, barche contro corrente, costantemente risospinti nel passato.

https://play.google.com/store/books/details?id=KQnXAQAAQBAJ 

mercoledì 18 febbraio 2015

Lezioni di storia da leggere ed ascoltare

http://www.historycast.org/podcast/016.htm

Poesia scritte da giovani alunni in questo link

http://www.poesiaragazzi.it/La-poesia-in-classe

Storie di Venezia

La leggenda del Bocolo di San Marco

Questa è una delle due storie che hanno dato origine alla secolare tradizione del bocolo(bocciolo di rosa) regalato ogni 25 aprile dai Veneziani alle proprie amate, compagne di vita, mamme e figlie. 




Nella seconda metà dell'Ottocento la figlia del Doge Orso I Partecipazio, Maria, amava, ricambiata, un giovane di umili origini, un certo Tancredi. Il Doge ovviamente non approvava la relazione, così la fanciulla consigliò all'amato di andare a combattere contro i Turchi per nascondere la propria condizione con la gloria delle imprese. La fama di Tancredi fece il giro del mondo, il giovane si distinse valorosamente in guerra, ma fu ferito mortalmente e cadde su un roseto. Prima di morire però affidò all’amico Orlando un bocciolo tinto del rosso del suo sangue perché lo consegnasse alla sua amata come estremo pegno d’amore. Il 25 aprile, il giorno dopo aver ricevuto da Orlando il messaggio d’amore dell’innamorato, Maria fu trovata morta nel suo letto con il bocciolo sul petto. Da allora, il 25 aprile la tradizione vuole che lo stesso omaggio sia ripetuto dai veneziani perché ognuno di essi possa esprimere i propri sentimenti alla persona amata.


Novella di Pirandello "La giara"


La pioggia nel pineto - G. D'Annunzio


Le repubbliche marinare

Repubbliche Marinare


Il termine Repubbliche Marinare venne attribuito tra il X e il XIII secolo a quattro città costiere italiane: Amalfi, Pisa, Genova e Venezia. Infatti, con i loro commerci le flotte di queste città dominarono l'intero Mediterraneo. Questo titolo venne assegnato anche ad altre città italiane quali Ravenna, Comacchio, Noli, Gaeta, Palermo e Brindisi, più piccole ed economicamente men o importanti delle quattro principali.
Le Repubbliche marinare rappresentano una variante alla civiltà comunale, frequente in quell'epoca, dove i mercanti istituirono le prime nuove forze economiche: coniarono monete d'oro, misero a punto nuovi generi di trattative, brevettarono nuovi sistemi di contabilità e incentivarono i progressi nella navigazione.
La quarta repubblica marinara fu Venezia, la più longeva. Le sue origini risalgono al V secolo quando, per sfuggire alle invasioni barbariche, gli abitanti di Aquileia e altre città del Veneto cercarono rifugio nella laguna. Fino all'VIII secolo essa fu sotto il dominio bizantino, successivamente l'aristocrazia veneziana riuscì a raggiungere il potere dando vita a un governo oligarchico, ossia di pochi. Venezia, per la sua posizione naturale, fu il punto di contatto tra Oriente e Occidente e fu a lungo contesa da moltissime popolazioni (Franchi, Bizantini, Normanni, ecc), ma riuscì sempre a mantenere la propria indipendenza.
Amalfi è la più antica delle repubbliche marinare e aveva fatto parte dei domini bizantini; ma già dal IX sec., a causa delle scorrerie musulmane e approfittando delle lotte fra il ducato di Napoli e il il principato longobardo di Benevento, si rende autonoma provvedendo alla propria difesa (vittoria di Ostia contro i musulmani nell’849).
Ha stretti rapporti con Costantinopoli prima di Venezia e basi in Terra Santa. Le tavole amalfitane sono un codice mercantile marittimo. Viene saccheggiata dalla rivale Pisa nel 1135 perdendo ogni ruolo.
Anche Pisa combatte i musulmani, assieme all’alleata Genova, avvantaggiandosi delle crociate e assumendo forma di Comune.
Tuttavia viene sconfitta dai genovesi alla Meloria (1284) per il controllo di Sardegna, Corsica e Baleari. La successiva fase di declino continua con la conquista da parte di Firenze nel 1405.
Pure Genova cerca di avvantaggiarsi delle crociate, ma entra in conflitto con Venezia: dopo la vittoria di Cùrzola (1298) viene sconfitta nella guerra di Chioggia (1376-81). Ha un’antica tradizione di autonomia cittadina (dal 950) e comunale sviluppando attività mercantili e portuali che la portano a una crescita demografica e urbanistica; il XIII sec. è caratterizzato dal regime podestarile con l’alternanza al potere di due famiglie ghibelline, i Doria e gli Spinola.
Il primo doge (Simon Boccanegra) viene eletto nel 1339, la carica è presente fino al 1528. Genova continuerà a svolgere attività mercantili e finanziarie anche dopo la sconfitta con Venezia: fino al 1630 è una potenza finanziaria e il tramite verso l’Europa dei commerci spagnoli.
Nel VI sec. con la conquista longobarda dell’entroterra la parte lagunare di Venezia rimane un luogo di rifugio sotto il dominio bizantino; dal IX sec. il Doge governa in modo autonomo, ma dall’XI il suo potere è limitato dall’Assemblea generale e dai consiglieri divenendo una magistratura: Venezia assume la forma comunale con una struttura di tipo piramidale che arriverà a prevedere numerose cariche. Nel 1297 viene resa ereditaria l’appartenenza al Maggior consiglio (serrata) che elegge il Doge dando un carattere aristocratico e oligarchico alla Repubblica.
Con la vittoria su Genova Venezia assume il ruolo di centro del commercio mondiale (per Braudel è la città-mondo del XIV sec.) e assieme a Genova è il più importante mercato europeo degli schiavi. La caduta di Costantinopoli (1453), la conseguente chiusura delle vie commerciali verso oriente, la scoperta dell’America ne segnano la decadenza.

EXPO 2015 a Casaluce

PON Casaluce 2013/14

martedì 10 febbraio 2015

10 febbraio...per non dimenticare le atrocità di tutte le guerre

Per non dimenticare

Un giorno fummo presi da uomini di ghiaccio
e portati lontani dal sole.
Non un frammento di luce,
lasciarono nei nostri cuori in silenzio,
camminavano i nostri sogni e, fu così che,
diventammo dei numeri, delle ombre, mucchi di tenebre.
Poi leggeri leggeri, uscimmo da alti camini.

25 gennaio 2002 - Gina Tota